Musica e autismo: Intervista a Paola Balestracci Beltrami

Giornata dell'autismo: i benefici della musicoterapia sui bambini affetti da autismo

 

In  occasione della giornata dell'autismo, sulle pagine di Musica e Mente abbiamo il piacere di ospitare la prof.ssa Paola Balestracci Beltrami, che da molti anni si occupa di bambini affetti da autismo.

 

In che modo la musicoterapia può aiutare i bambini a cui è stato diagnosticato un disturbo dello spettro autistico?

 

Possiamo ormai affermare con certezza che il suono e la musica costituiscano un grande aiuto ai bambini con autismo e alle loro famiglie, anche perché, prima di essere autistici sono bambini.

 

Andiamo con ordine. Numerosi studi e ricerche attestano l’importanza e il valore della musica nella crescita del bambino a partire dal grembo materno, prima orchestra, nel quale il piccolo per nove mesi è immerso in una molteplicità di onde sonore-liquide-affettive che lo avvolgono, cullano, sollecitano. E’ qui che il futuro bambino impara a mettersi in ascolto della sua mamma e del mondo. E’ qui che a partire dal sesto mese di gestazione, comincerà e sentire tramite trasmissione liquida, anche con le sue orecchie.

E tutto l’universo sonoro percepito è già relazione, ascolto, memoria, ricchezza ritmica e timbrica, comunicazione tonico-sonoro-emotiva che diverrà linguaggio, nei mesi successivi alla nascita.

Fare musica con i bambini molto piccoli è una grande opportunità anche per tutta la famiglia: cantare e suonare insieme rafforza la socializzazione, regola l’umore dei piccoli e dei grandi, favorisce la comunicazione tra loro.

 

Per il bambino che cresce la musica è una grande opportunità per lo sviluppo psicomotorio, cognitivo e del linguaggio, sollecita la relazione con i propri cari e con i compagni, migliora l’autostima, facilita gli apprendimenti della letto-scrittura, il pensiero logico-matematico e l’organizzazione spazio-temporale.

Torniamo all’autismo.

Il Manuale Diagnostico Statistico dei Disturbi Mentali (DSM-5) afferma che

si riconosce il disturbo dello spettro autistico all’individuo che presenti:

 

-          deficit persistente della comunicazione sociale e nell’interazione sociale in molteplici contesti;

-          pattern di comportamento, interessi o attività ristretti, ripetitivi.

 

Il suono è vibrazione acustica (la voce umana, uno strumento musicale, un oggetto percosso, ecc.) che determina sensazione uditiva e, allo stesso tempo, sensazione uditiva generata da vibrazione acustica. La risonanza è la modalità in cui il suono si trasmette e si riceve. Il suono è relazione.

E ancora, alla luce di questo, il suono è all’origine della relazione stessa, del movimento e del linguaggio, a partire dall’esperienza che ogni essere umano fa nel grembo materno.

 

Cosa accade in musicoterapia? Mi riferisco al modello della Musicoterapia Umanistica elaborato dalla prof.ssa Giulia Cremaschi.

 

Il bambino seduto o sdraiato sul pianoforte a coda è immerso in una molteplicità di onde sonore che penetrano nel suo corpo facendolo convibrare ed emozionare. Perché? La musica è improvvisata dalle mani esperte della musicoterapeuta che traduce in ritmi, suoni, melodie, armonie ciò che il bambino è e fa. Egli è la partitura vivente, e il dialogo sonoro che scaturisce dal vivace gioco musicale, lo conduce a riconoscersi in quella musica perché prima di tutto si è sentito accolto e ascoltato. Il suono è onda di energia che risuonando in tutte le cellule del corpo, lo smuovono, emozionandolo. Le emozioni possono essere positive o negative, non importa, ciò che conta è che la musicoterapeuta sappia accoglierle e trasformarle in meglio.

 

 


Possiamo ormai affermare con certezza che il suono e la musica costituiscano un grande aiuto ai bambini con autismo e alle loro famiglie, anche perché, prima di essere autistici sono bambini


Alla luce di questo si comprende che non è possibile sottrarsi al suono. Il bambino (o ragazzo) può chiudere gli occhi, serrare la bocca, stringere le mani, chiudersi a riccio, ma il suono continuerà a convibrare dentro di lui.

Non è una musica qualunque e non si tratta semplicemente di “vibrazioni”, secondo la definizione squalificante che spesso viene attribuita alla percezione acustica di tutto il corpo (risonanza corporea) sopra il pianoforte a coda.

Il suono è sempre vibrazione, ma se i suoni che raggiungono la persona sono in sintonia e sincronia non solo con la gestualità e i movimenti della persona (corpo vibrante), ma ne ricalcano anche le sfumature emotive, ne colgono l’ampiezza, l’intenzione, l’energia, allora quella musica è qualcosa di potente (in senso buono). Non solo, non è musica registrata a cui la persona può o deve adeguarsi per andare al tempo, ma è musica creata al momento, come un vero dialogo che si modifica e arricchisce man mano che procede.

La musicoterapeuta suona osservando e ascoltando, e allo stesso tempo osserva e ascolta mentre suona.

 

Quando il bambino o ragazzo si accorge che quella musica è per lui, è lui, succede qualcosa di unico.

 

Spesso è nel momento del silenzio quando la musicoterapeuta si ferma anche inaspettatamente che è possibile osservare le reazioni del bambino: c’è chi suona più forte e velocemente perché vuole ancora la musica, chi si gira, chi alza un sopracciglio o gira di pochi millimetri gli occhi, chi trattiene il respiro, chi vocalizza, chi prende coraggio e si avvicina a uno strumento o ai genitori presenti per essere abbracciato. Nessuno ha fatto richieste, ma la risposta è chiara: il suono, la musica ha raggiunto ed emozionato il bambino, ha suscitato curiosità, è nato un interesse. Nel tempo il gioco si arricchisce di tanti elementi musicali e comunicativi, a seconda delle esigenze di ogni singola persona, ma ciò che vale per tutti (con o senza autismo) è il canale comunicativo e di ascolto che il dialogo sonoro scaturito dall’improvvisazione comunicativa al pianoforte ha aperto.

Per questo la musica aiuta i bambini e i ragazzi con autismo. E ripeto, non quella registrata, che lo illude di essere in compagnia senza lo sforzo di aprirsi e comunicare. No, si tratta di una musica capace di creare ascolto e relazione, e che riesce a raggiungere il cuore di bambini e ragazzi perché non chiede prestazioni, ma si fonda sull’esserci e condividere il fare insieme.

 

Tale approccio è innovativo perché l'orientamento che va per la maggiore insiste sul far fare da solo al bambino quanto richiesto. Troppe volte ho sentito mamme dire al proprio piccolo: “da solo”, allontanando la loro mano dalla presa del bambino. Certo che l’adulto non è un prolungamento del figlio, non è solo un braccio o una mano, ma è anche certo che la vera autonomia nasce dalla condivisione, altrimenti è solitudine.

Marcello (tutti i nomi sono inventati) è arrivato in musicoterapia all’età di 8 anni. Era stato dimesso da poco da un rinomato centro riabilitativo della nostra provincia, perché, così mi disse la mamma, le era stato detto che non c’era più niente da fare. Durante il nostro primo incontro parlammo a lungo. Le chiesi come fosse stato possibile ricevere un’affermazione così catastrofica, pensando che oggi giorno si lavora con situazioni ben più gravi e spesso senza ritorno.

Se si ottengono buoni risultati con gli anziani affetti da malattie degenerative, da persone in coma, da malati terminali, com’era possibile affermare che non ci fossero speranze per un bambino di 8 anni?

Lavoravamo in due, io al pianoforte e Cecilia Zaninelli sopra, vicino a Marcello. La mamma, inizialmente sedeva a distanza, ma ad ogni incontro sceglieva un posto più vicino, fino ad arrivare a giocare e suonare con noi. Marcello era chiuso nel suo mondo. Respiro al minimo vitale, inginocchiato o accovacciato sui suoi piedi, testa girata di lato, sguardo assente. Eppure saliva sul piano e vi rimaneva quasi incollato. Men presto mi accorsi delle prime reazioni motorie ed emotive che divennero via via più chiare e comunicative.

Come quando cominciò a battere con un pugno sul coperchio del pianoforte per chiedere la ripresa della musica. Lavorammo a lungo su quel gesto che divenne il tramite per dialogare insieme. Lentamente le mani si aprirono e Marcello cominciò a suonare il tamburello basco con il palmo, a tenere il tempo, a fermarsi nel silenzio, a riprendere modificando intensità e velocità. Imparò a stringere le mani per trattenere un battente e questo ci diede la possibilità di introdurre strumenti melodici come ad esempio il metallofono e lo xilofono, e piccoli strumenti idiofoni da manipolare in tanti modi diversi per produrne suono, contrastando in questo modo i gesti stereotipati di braccia e mani sempre in movimenti “a vuoto”.

Ci accorgemmo che era in grado di distinguere i colori, che aveva memorizzato alcuni canti infantili,

che era in grado di scegliere, e di modulare le sue emozioni, sebbene quelle di gioia gli arrecassero una grande euforia difficilmente contenibile.

La musica ha fatto un gran bene a lui e alla sua mamma, sempre presente in modo discreto e attento. La seduta di musicoterapia infatti è anche per lei l’occasione di un confronto, il luogo e il tempo per godersi il figlio, al di là dei limiti e delle preoccupazioni che la difficile situazione comporta. Marcello non è più una persona assente. E’ vivo, vivace e vitale. Ha imparato a mettersi in ascolto e a dialogare attraverso il dialogo musicale che si rinnova ogni volta e lo sollecita a mettersi sempre più in gioco e a mettere in atto le sue capacità. E di racconti come questo, potrei farne a decine.


Fare musica con i bambini molto piccoli è una grande opportunità anche per tutta la famiglia: cantare e suonare insieme rafforza la socializzazione, regola l’umore dei piccoli e dei grandi, favorisce la comunicazione tra loro.


Perché è così importante avviare degli interventi di musicoterapia in età precoce?

Il suono è all’origine della relazione, del movimento, del linguaggio.

L’inizio precoce della musicoterapia ha molti vantaggi:

 

·  L’esperienza della risonanza corporea sopra il pianoforte a coda sollecita in modo naturale il bambino. Il suono entra nel piccolo corpo, lo fa con-vibrare e quindi emozionare. Il bambino si sente accolto, ascoltato, valorizzato perché ogni suo gesto diventa musica, una bella musica. Il suono è onda di energia che lo spinge al movimento favorendo in modo naturale le varie tappe dello sviluppo psicomotorio. Le emozioni sono sfogate con l’uso spontaneo della voce, che invece di essere trattenuta nella chiusura, trova libero sfogo e diventa dialogo con l’altro. L’uso del canto popolare infantile stimola il bimbo alla parola, ne favorisce l’articolazione attraverso attività condivise molto piacevoli. Si comprende allora che iniziando presto non si tratta di ri-educazione o ri- abilitazione, ma di un percorso educativo inteso nell’accezione etimologica dell’e-ducere, cioè condurre fuori ciò che è già presente nel bambino.

 

·  La disponibilità e apertura che il bambino matura prepara un terreno favorevole agli interventi più specifici di psicomotricità, logopedia, ecc.

Di solito, invece, la musicoterapia è percepita come un di più, o un intervento da aggiungere più avanti, per non sovraccaricare il bambino. Quando poi i genitori arrivano e iniziano il percorso si mangiano le mani perché avrebbero voluto iniziare prima, se solo avessero avuto indicazioni corrette in merito.

·  Prima si inizia, prima si arginano e contrastano abitudini non funzionali che si innescano nella relazione genitori-bambino.

Come vive una mamma l’apparente rifiuto del figlio causato dalla sua difficoltà comunicativa? Cosa si prova di fronte a un bambino che non guarda chi si rivolge a lui, che ha reazioni insolite e spesso imprevedibili, che gioca in modo ripetitivo, che evita gli altri?

La seduta di musicoterapia è un’occasione per incontrarsi, per trovarsi, per imparare l’uno i tempi dell’altro, per imparare a rispettare lo spazio dell’altro, e allo stesso tempo per accogliere e farsi accogliere. E’ un luogo speciale dove i genitori non devono fare nulla se non godersi il gioco musicale con il figlio. E’ sempre emozionante ascoltare i commenti di mamme che arrivano frustrate e spente, macerate dalla sensazione di non farcela, e se ne vanno ricaricate, motivate, perché finalmente  sono riuscite a giocare con il proprio bambino, hanno condiviso attività, hanno colto piccoli ma significativi progressi verso la comunicazione e l’autonomia.

Spesso vengono consigliati dei percorsi di musicoterapia a quei bambini che mostrano una particolare inclinazione alla musica. Come la pensi a riguardo? E di conseguenza solo questi soggetti possono trarre benefici dalla musica?

 

Mi piace pensare in positivo: dal momento che gli effetti evidenti del suono e della musica sono spesso ignorarti e che difficilmente un genitore viene inviato in musicoterapia, o ritiene che la musicoterapia possa essere di aiuto alla crescita armonica del figlio (tanto più se con autismo), ben venga la musicalità del bambino che in modo chiaro ed esplicito manifesta un desiderio e un bisogno. Ho conosciuto bambini splendidi dal punto di vista musicale. A volte però queste doti contribuiscono alla chiusura del bambino. Bisogna lavorare molto e bene per riuscire a non far isolare ulteriormente il bambino in un mondo musicale fittizio, fatto di brani suonati a orecchio, di canti ripetitivi, di melodie che ritornano in modo ossessivo e vengono riproposte con ogni genere di strumento a disposizione senza lasciare spazio a nuovi apprendimenti.  

Spesso accade anche che le doti musicali si ritorcono contro i bambini stessi venendo a creare attese distorte da parte dei genitori che in qualche modo intravedono nelle capacità del figlio una possibilità di riscatto, ma non rispettandone tempi e modi di apprendimento, travolgono il bisogno autentico del bambino e non riescono ad accompagnarlo con equilibrio nella scoperta del linguaggio musicale e nello studio dello strumento scelto.

Ricordo 3 bambini in particolare.

 

Avevamo conosciuto Lucia (nome inventato) alle settimane estive del Dott. Salvatore Lagati a Trento. Lucia era cieca, completamente cieca. Aveva 10 anni, suonava il pianoforte. Era chiusa nel suo mondo, non accettava il contatto corporeo, chiedeva insistentemente che le venissero suonati i brani che lei stessi studiava al pianoforte. In quegli anni lavorano con la collega Paola Mondonico.

Il nostro intervento fu mirato essenzialmente a favorire la consapevolezza di Lucia, a metterla in contatto con il suo corpo e con gli altri, a superare quelle richieste ossessive che la chiudevano nel suo mondo per aiutarla a creare nuovi interessi, a sperimentare situazioni nuove, a mettersi in gioco. Lucia suonava tutto a memoria, conosceva la musica. Non diceva mai SI, nemmeno quando cantavamo la scala musicale, che avevamo ironicamente modificato sostituendo l’omonima nota con un bel NO. Lucia ad ogni seduta si rilassava, si lasciava andare.

 

Aveva scoperto il silenzio come attesa e non più come vuoto e solitudine.

 

Così smetteva di parlare continuamente, e si abbandonava alla musica. Con lei non assecondammo molto gli apprendimenti musicali perché questo significava farla entrare in un loop ripetitivo. Le nostre sedute erano volte a farle recuperare il piacere di sentire il suo corpo e di condividere insieme uno spazio di gioco autentico attraverso il dialogo sonoro e l’improvvisazione comunicativa al pianoforte. Dopo un anno Lucia era più serena, presente, meno ossessiva nelle sue richieste musicali. Fu per noi una doccia fredda apprendere dalla mamma la sua intenzione di iscriverla al Conservatorio. E non la vedemmo mai più.

Alessandro fa il suo ingresso in musicoterapia a 7 anni. “Gli piace tanto la musica”, è il modo in cui i genitori lo presentano. Mi accorgo ben presto delle sue doti e del suo orecchio assoluto. Incanalo queste sue capacità in un percorso di apprendimento del linguaggio musicale, senza tralasciare l’aspetto più relazionale, emotivo e comunicativo del mio lavoro: è una parte che gli piace tantissimo. La sua capacità di mettersi in ascolto cresce nel tempo, il momento inziale di gioco e rilassamento lo aiuta a riequilibrare un poco il tono corporeo sempre molto teso. La voce risuona in testa, i gesti sono aspri, rigidi.

Non mancano comportamenti problema come ad esempi pizzichi o oppositività non sempre riconducibile a fatti scatenanti evidenti. Come potrà suonare il pianoforte, sebbene lo desideri tanto? Spiego più volte alla mamma l’importanza di dedicare tempo ad attività di gioco che favoriscano l’ammorbidirsi del tono muscolare, e la ricerca di un equilibrio diverso. Ma non c’è nulla da fare. Alessandro impara rapidamente non solo a suonare, ma anche a fare il dettato ritmico e melodico, riconosce gli intervalli melodici principali e i relativi bicordi. Acquisisce anche i primi rudimenti di teoria musicale. Ma vuole giocare, ha bisogno di giocare con la musica.  La mamma si irrigidisce, non capisce, pensa che io stia perdendo tempo. Lui lascia il libro sul cofano o della macchina e lo perde, fa di tutto per far capire che non può bastargli una lezione di pianoforte nuda e cruda, ha bisogno di altro di mettersi in ascolto, di sentire il suo corpo, di giocare con la musica che ama tanto, di sperimentare ogni volta quel lieve lasciarsi andare. Nemmeno l’incontro in neuropsichiatria infantile con tutta l’equipe medica e scolastica servirà a far cambiare idea alla famiglia.

Un bel giorno d’estate mi arriva un sms di congedo. La famiglia ha fatto altre scelte. Io sono serena. Ho fatto il possibile per far crescere il bambino rispettando i suoi bisogni e i suoi tempi. Pazienza.


La musica è dentro di noi, per nove mesi ci siamo formati e siamo stati plasmati nei suoni del grembo materno.


Diversa, per fortuna è la storia di Matteo, nato prematuro e ospedalizzato a lungo.

Il suo autismo è conseguenza dell’isolamento e del dolore sperimentati fin dai primi attimi di vita. Attualmente frequenta la seconda elementare. Pur essendo arrivato a me per la sua inclinazione musicale, non ha fretta di “imparare” e riesce a godersi lunghi momenti di ascolto steso sul coperchio del pianoforte a coda.

Il rilassamento che sperimenta favorisce la diminuzione degli spasmi respiratori.

La parola diventa più fluida, non s’inceppa in lunghi vocalizzi che preparano ogni volta la fuori uscita delle frasi. Davide aumenta progressivamente i tempi di attenzione, la capacità di rimanere concentrato e aderente alla proposta musicale. Canta in modo intonato. La lettura musicale favorisce la consapevolezza nell’uso della voce, nella gestualità sempre più precisa nell’accompagnare il canto o eseguendone il ritmo con piccole percussioni.

La mamma è presente in modo attento e discreto. Le piace il nostro gioco musicale, non forza la mano con richieste fuori luogo (quando suonerà? cosa suonerà?), si fida, non tanto e non solo di me, ma soprattutto del suo bambino che vede migliorare costantemente. Ed è certa che l’apprendimento della musica stia contribuendo in modo efficace al miglioramento sia negli apprendimenti che dal punto di vista relazionale e della socialità.

 

Detto questo, non dobbiamo pensare che la musicoterapia sia solo per i bambini che manifestano inclinazioni o interessi per la musica.

 

Willems diceva: “La musica è per tutti”, perché la musica è dentro l’uomo.

Esatto, forse è per questo che molto spesso il percorso di musicoterapia evolva naturalmente in educazione musicale, bambini che sembravano indifferenti alla musica imparano la notazione, suonano, cantano, da soli o in piccoli gruppi. Come è possibile?

 

Esiste un legame tra musicoterapia ed educazione musicale, non perché si possono confondere una con l’altra, ma perché la seconda può diventare la coerente e logica conseguenza della prima. Anche per bambini che magari per anni non manifestano una particolare inclinazione musicale.

Suoni, ritmi, movimento sono alla base della crescita del bambino, della capacità di relazionarsi con gli altri, dello sviluppo psicomotorio e linguistico.

 

La musica è dentro di noi, per nove mesi ci siamo formati e siamo stati plasmati nei suoni del grembo materno.

 

La musica fa parte della nostra stessa essenza. Quando lavoro con i bambini (qualunque sia la diagnosi) me ne guardo bene dal porre limiti. Cerco di mettermi in ascolto, osservo, gioco e suono. Il bambino è il primo e più importante protagonista della sua crescita. Se il percorso artistico-educativo della musicoterapia è aderente al bisogno del bambino e coerente alla sua sensibilità, può essere che sfoci non solo nell’apprendimento del linguaggio musicale, ma anche in quello di uno strumento (pianoforte, chitarra, arpa, …). Chi sono io per dire: non può farlo? Chi sono io per escludere a priori?

Talvolta insegnanti o specialisti dei bambini che seguo mi chiedono giochini anti stress per far rilassare i bambini. A questo, purtroppo, a volte, si limita il contatto e la richiesta. Se solo comprendessero la portata e la ricchezza del linguaggio musicale, credo mi chiederebbero ben altri suggerimenti.

 

Proviamo a pensare, solo per un attimo, al valore dell’educazione musicale nella crescita di un bambino ed estendiamo le nostre riflessioni all’autismo.

 

La musica promuove la relazione all’interno del gruppo, sia esso costituito dai compagni di classe, sia, nel contesto della terapia, quello formato dalla musicoterapeuta, dalla coterapeuta – se presente – e dai genitori.

 

La musica sollecita l’attenzione del bambino verso gli oggetti (strumenti musicali) e verso le persone presenti.

 

Favorisce poi l’intenzionalità. E su questo punto dovremmo soffermarci a lungo, se pensiamo che di solito l’approccio al bambino con autismo prevede che egli esegua attività proposte in una agenda prestabilita, nei modi prestabiliti, secondo un programma prestabilito.

Tutto necessario, ma sicuramente soffocante la creatività e l’intenzionalità del bambino che io vedo invece riemergere quando il gioco musicale diventa autentico dialogo sonoro e scambio comunicativo.

 

La musica suscita l’interesse e l’ascolto da parte del bambino, perché prima si sente ascoltato.

 

Il canto popolare infantile sollecita e stimola in modo naturale la regolarizzazione del respiro e la fluidità della parola.

 

E infine, la musica è energia, è vitalità che si sprigiona nel movimento che nel tempo diventa sempre più ordinato e armonioso.

 

Nel passaggio naturale dal puro gioco musicale, alla sua analisi, alla conoscenza del suo linguaggio, alla condivisione con gli altri in piccoli gruppi o all’interno della classe, il bambino stesso è il mio maestro e la mia guida e, non ponendo limiti a quelli che già la patologia impone, possiamo esplorare campi infiniti di esperienza che dà piacere, gioia di vivere, adesione alla realtà, capacità progressiva di stare e relazionarsi con gli altri.

E penso che la forza della musica, da questo punto di vista, sia una risorsa davvero unica e purtroppo sottostimata.

 

Andrea, ad esempio, ha quasi 17 anni. Lo conosco da quando ne aveva 4. Non ha mai manifestato un interesse particolare nell’apprendimento della notazione, ma tale percorso lo ha aiutato tanto nella concentrazione, nell’attenzione, nell’ascolto e nella comprensione della realtà che lo circonda, nella coordinazione dei movimenti, nell’uso spontaneo della voce (dice parole, ma non parla in modo comunicativo), nella lettura.

Lo scorso settembre si è avvicinato al pianoforte, come era già successo in passato. Questa volta, però, si è seduto a suo agio e mi ha permesso di toccargli le mani e di posizionargliele sui tasti. In un gioco di esplorazione e ritrosia, ha letto e suonato il suo primo spartito musicale, e da quella lezione non ha più smesso.

Oggi fa ancora tanta fatica nel preparare le mani, controllare le dita, leggere la musica nelle due chiavi di violino e basso, ma nonostante ciò, c’è. E’ presente, si fa capire, accetta di aver sbagliato e si impegna a riprovare, è soddisfatto di ogni piccola conquista raggiunta e di far ascoltare al papà che lo torna a prendere il brano studiato insieme.


Il bambino è il primo e più importante protagonista della sua crescita


Il tuo racconto è vivace. Hai parlato spesso di mamme che condividono l’esperienza della musicoterapia con il loro bambino. La musicoterapia umanistica è innovativa anche da questo punto di vista. Perché lavori con i genitori presenti? E loro cosa ne pensano?

 

La presenza dei genitori è un caposaldo metodologico della Musicoterapia Umanistica. Sono loro i primi e più importanti educatori dei propri figli. Sono loro che li conoscono a fondo, fin troppo nei limiti, magari, e proprio per questo hanno bisogno di imparare a vederli con occhi nuovi.

 

La musica fa emergere il bambino nella sua vitalità e spontaneità.

 

Spesso accadono per la prima volta eventi importanti: i primi passi, i primi sguardi intenzionali, i primi vocalizzi o le prime parole. Con chi condividere la gioia della conquista se non con la propria mamma o papà, o nei casi più fortunati, con entrambi?

 

I genitori sono costantemente fuori dalla porta della riabilitazione. Al termine delle sedute si sentono dire al massimo che è andata bene, non hanno possibilità di confronto e di ascolto con le terapiste. Si sentono esclusi dal percorso di crescita dei loro figli, proprio loro che devono affrontare difficoltà enormi e spesso sono sprovvisti di strategie educative adatte al caso.

 

Condividere la seduta di musicoterapia è uno spazio e un tempo per imparare ad accogliersi vicendevolmente, per imparare a mettersi in ascolto del figlio, per aprire gli occhi sulle sue potenzialità che spesso non emergono in altri contesti di vita, per farlo crescere nell’autostima perché mamma e papà riescono a trasmetterla in primis a lui/lei, sorprendendosi e gioendo per ogni piccola conquista.

Non è sempre facile avere presenti i genitori. Talvolta, anzi è molto difficile, perché si intromettono, non ascoltano, non rispettano i tempi del bambino, si sostituiscono, non reagiscono ai piccoli progressi, perché non li vedono. Il loro sguardo è assente, la mente lontana. Loro stessi hanno bisogno dell’accoglienza del suono e della musica, hanno bisogno di essere accolti ed ascoltati, sostenuti nella complicatissima missione di essere genitore di un figlio (a volte più di uno) davvero speciali. Ho accompagnato e sto accompagnando tanti genitori in questo impegnativo percorso di condivisione e di crescita attraverso la musica. Rimanendo aderente alla mia professionalità suggerisco ai genitori di cantare, suonare, suonare, ponendosi in ascolto, dando tempo e spazio all’emergere delle risposte del bambino, alla sua libera espressione di emozioni e sentimenti.

E spesso, molto spesso, assisto ad autentiche trasformazioni in primis nei genitori, che finalmente si sentono accompagnati, valorizzati e sostenuti nella loro cura educativa quotidiana.

Infine c’è qualcosa che vuoi far sapere agli specialisti (medici, psicologi, terapisti) che leggeranno l’intervista?

 

In questi primi trentatré anni di attività in musicoterapia ho conosciuto professionisti di varie scuole di pensiero. C’è chi osanna la musicoterapia, chi ne rimane indifferente, chi la contrasta senza mezzi termini, chi la ritiene una disciplina inutile.

Ringrazio allora della possibilità di raggiungere esimi colleghi e professionisti che hanno creduto nel valore del suono e della musica nella crescita della persona, inviando bambini in musicoterapia, invitandomi a partecipare agli incontri di equipe, e constatando insieme i risultati via via ottenuti e i progressi fatti dai bambini stessi.

Nel tempo ho imparato ad avere pazienza con chi si dimostra indifferente o addirittura ostile. Spesso cela una storia personale poco felice dal punto di vista musicale: vissuti di umiliazione ed esclusione (sei stonato, stai zitto!), frustrazione (lunghi ani anni di studio forzato di uno strumento musicale per assecondare le aspettative dei genitori), e così via.

Ma la musicoterapia è ben altro e non è corretto che il pregiudizio personale allontani bambini e famiglie che invece ne potrebbero beneficiare.

Ma purtroppo accade.

Infine, c’è chi è molto arroccato sulle proprie convinzioni personali, sui propri metodi e non sa mettersi in ascolto di chi professa un modo nuovo e diverso di intervenire nell’ambito dell’autismo.

Per fortuna, i genitori presenti alle terapie vedono e vivono i progressi del bambino: comportamenti, sguardi, atteggiamenti di apertura e benessere, desiderio di comunicare, che non si vedono in altri contesti di vita.

Talvolta c’è la possibilità di un confronto anche con questi professionisti, spesso sono i genitori a farsi portavoce. Da parte mia porto pazienza e continuo a mettermi in ascolto anche di modi diversi (più rigidi) di approcciare l’autismo, per coglierne comunque gli aspetti positivi e sostenere le famiglie.

Colgo quindi l’occasione per dire con estrema tranquillità che la musicoterapia non ha la pretesa di sostituirsi ai percorsi educativi e terapeutici dei bambini con autismo, ma è un valido e ricco aiuto soprattutto se i professionisti lavorano in sinergia.

Sempre più numerosi sono gli studi scientifici che riconoscono l’importanza della musica nella crescita del bambino e altrettanti quelli che ne provano l’efficacia nell’ambito dello spettro autistico.

Spero che anche questa intervista possa contribuire a fare conoscere quanto sia importante la musica nell’approccio al bambino con autismo, indipendentemente dal suo livello di funzionamento, perché, come ho già detto, la musica è dentro l’uomo, fa parte di noi.

Per concludere vorrei invitare i professionisti che si occupano di autismo a prendere in considerazione la ricchezza e il valore della musica nello sviluppo del bambino autistico,  aprendosi ad un dialogo fecondo, ad una ricerca condivisa, alla messa in discussione dei propri metodi e principi perché tutte le volte che tale confronto è già avvenuto, siamo tutti cresciuti professionalmente e tanti bambini e famiglie ne hanno tratto giovamento. Grazie.

 

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 Paola Beltrami è un’arpista e musicoterapeuta.  E' socio fondatore della F.I.M la Federazione Italiana Musicoterapeuti e formatore in Musicoterapia Umanistica.

Ha all’attivo diverse pubblicazioni e ha presentato la sua esperienza in musicoterapia a convegni e congressi nazionali e internazionali. Svolge tutt’ora un’assidua attività come educatore musicale negli asili nido, nelle scuole dell’infanzia e conduce corsi di formazione per genitori e insegnanti. Ha pubblicato recentemente “Arpa terapia. Suoni che curano l’anima” casa editrice You can print.

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Commenti: 2
  • #1

    Paolo Barisone (domenica, 03 aprile 2022 12:24)

    Mia figlia Marzia è autistica, e per lei la musica è la colonna sonora delle sue giornate. Ha i suoi gusti musicali,molto variegati e soprattutto danzerini.
    Senza la musica sarebbe persa...grazie.

  • #2

    Paola Beltrami (domenica, 03 aprile 2022 14:54)

    Gentile sig. Barisone, grazie per la sua preziosa testimonianza. Lei scrive che senza la musica sua figlia sarebbe persa. Da tanti anni lavoriamo per valorizzare le potenzialità di tanti bambini e ragazzi attraverso la bellezza e la forza del linguaggio musicale. Ho proposto il tema di questa intervista proprio per dar voce all'importanza della musica nella crescita di ogni persona, e specialmente nei bambini con autismo, perché troppo spesso, pur vedendo la loro predisposizione musicale, non se ne coglie la valenza sul piano educativo e relazionale. Cordiali saluti