Intervista a Paolo Caneva

Paolo Caneva: Blogger, divulgatore, scrittore, docente e terapeuta si racconta sulle pagine di Musica e Mente

Benvenuto professor Caneva e grazie di aver accettato quest’intervista per

musica e mente.it

 

Lei si occupa da anni di Songwriting e ha scritto un libro che è un punto di riferimento per quanto riguarda questa “tecnica” specifica della musicoterapia, ci può illustrare brevemente in cosa consiste e quali sono i benefici e i risultati che si possono ottenere utilizzandola?

 

La tecnica del songwriting si distingue in due grandi “contenitori”: le canzoni che noi scriviamo per la persona o il gruppo con cui stiamo lavorando e le canzoni dove invece noi assumiamo il ruolo di facilitatori del processo compositivo che viene fatto assieme al singolo o al gruppo.

 

Nel primo gruppo abbiamo le cosidette Hello Songs ovvero delle canzoni con cui salutiamo i partecipanti al loro arrivo o quando termina l’incontro,poi ci sono le Canzoni di lavoro  che usiamo per formulare in modo musicale le consegne, le Canzoni descrittive con cui cantiamo quello che sta accadendo durante un determinato momento ed infine le Canzoni soliloquio delle canzoni cioè che  servono a noi operatori di musicoterapia per aiutarci in quei momenti che a volte accadono dove ci sembra che tutto ciò che stiamo facendo non porti nessun tipo di risultato.

 

Nel secondo gruppo invece c’è la tecnica di facilitazione compositiva, (il songwriting propriamente detto) con il singolo o il gruppo e la Canzone improvvisata. I vantaggi dell’applicazione di questo insieme di tecniche sono molteplici ma è pur vero che soprattutto per quelle del secondo “contenitore” non è sempre possibile applicarle: c’è bisogno infatti che le persone con stiamo lavorando abbiano la capacità di comunicare verbalmente.

 

Tra i  risultati ottenibili utilizzandola abbiamo la attivazione di processi comunicativi ed espressione di contenuti che in altro modo non emergerebbero, la percezione di autoefficacia nel realizzare un “prodotto” estetico, l’aumento dell’autostima quando si esegue la canzone davanti ad un pubblico (per pubblico intendiamo qualsiasi tipo di ascoltatore).

Dato l’utilizzo delle parole crede che la tecnica del songwriting possa assumere maggior efficacia con l’affiancamento di uno psicoterapeuta? O ancora potrebbe aiutare gli psicologi nel loro lavoro?

 

Fare musicoterapia è sempre un lavoro di equipe, noi non siamo dei tuttologi e la sinergia di competenze diverse può portare solo dei vantaggi. Sicuramente se stiamo lavorando con un gruppo per facilitare la creazione di una canzone e l’argomento di questa canzone si focalizza su tematiche emotivamente importanti e delicate avere nel gruppo un esperto della “parola che cura” ci permetterà di evitare errori grossolani.

 

Rispetto alla seconda parte della domanda e cioè se il songwriting potrebbe aiutare gli psicologi nel loro lavoro, la mia risposta è sì, a condizione che siano in grado di padroneggiare la tecnica compositiva ed esecutiva della canzone e se già in ambito musicoterapico è raro trovare chi è in grado di cantare, suonare, comporre e scrivere musica, immagino sia ancora più complesso trovare queste competenze in uno psicologo ma, ripeto, potenzialmente, sì.

 

Lei ha fondato alcuni siti molto importanti per la musicoterapia in Italia, e noto nei suoi articoli come sia attento alle nuove scoperte tecnologiche.

Le volevo chiedere allora, quanto la tecnologia e il digitale in generale, secondo lei, stanno cambiando o potrebbero cambiare il nostro lavoro.

Parto dal presupposto che “il fine giustifica i mezzi” e quindi se un dispositivo digitale od elettronico che produce suono mi permette di rendere partecipe nel processo del fare musica una persona che in altro modo (leggi con lo strumentario tradizionale) non potrebbe io sono favorevole all’uso di tale dispositivo.

 

A mio parere chi oggi si appresta a fare in nostro mestiere non può disinteressarsi per partito preso alla tecnologia usando gli argomenti classici (lo strumentario digitale è freddo, impersonale, arido, non fa passare le vibrazioni, il suono è un surrogato dello strumento vero ecc.). Indubbiamente sul piano della qualità ed il calore del suono, sul piano della percezione plurisensoriale data da uno strumento reale piuttosto che un dispositivo di vetro, metallo, plastica, sul piano della rappresentazione simbolica lo strumentario tradizionale non ha rivali.

 

Se però a queste dimensioni aggiungiamo anche la “suonabilità”, le competenze necessarie, la forza necessaria, la trasportabilità, la variabilità dei timbri, la possibilità di manipolare o modificare il suono allora le cose assumono un’altra prospettiva. 

 

Per lei è importante che il musicoterapista abbia competenze psicologiche oltre che musicali?

 

Si, se il musicoterapista avesse già delle eccellenti competenze musicali. Molto spesso la seconda parte della domanda “oltre alle competenze musicali” è data per sottintesa ma non esiste. Assisto con tristezza ad una strana “passione” per gli studenti di musicoterapia verso tutto ciò che è clinico, psicologico, medico a scapito di un interesse per le competenze musicali necessarie per fare questo lavoro.

 

Conosco davvero pochi colleghi in grado di suonare in modo funzionale più di uno strumento, di saper cantare, di saper improvvisare sia armonicamente che melodicamente, di possedere un repertorio di canzoni per l’infanzia o la senescenza, di saper comporre e scrivere una semplice canzone.

 

Credo che nell’ottica di una figura professionale d’equipe, l’operatore di musicoterapia dovrebbe rafforzare decisamente la sua competenza musicale e poi, ma solo poi, avere una conoscenza funzionale del linguaggio psicologico e medico per essere in grado di dialogare con le altre figure professionali con cui si interfaccerà.

Si reputa un musicoterapista?

 

Per sentirsi “qualcuno che fa qualche cosa” quel “qualcosa” dovrebbe essere definito in modo univoco e così non è. Oggi ci sono tante definizioni di musicoterapia quanti sono gli operatori di questa disciplina e professione. Com’è possibile reputarsi musicoterapista?

 

Quello che posso fare è esprimere quello che sento di essere mentre faccio il mio lavoro quotidiano. Sono un polistrumentista, capace di eseguire, improvvisare e creare semplici “componimenti musicali”, sono in grado di cantare un repertorio piuttosto grande di canzoni per bambini, adulti ed anziani. Ho scelto di esercitare queste competenze con a persone “fragili” che vivono in contesti istituzionalizzati come case di riposo, centri diurni, comunità, case famiglia, Residenze sanitarie assistite, reparti di ospedale, hospice.

 

Grazie a queste competenze, con queste persone, i loro caregivers e le equipe che a diverso titolo si occupano della loro salute, cerco di creare e facilitare occasioni di musicing ovvero di musica “partecipata”, dove non c’è distinzione tra artista e pubblico, tra chi suona e chi ascolta e soprattutto, dove possibile, non c’è separazione tra chi sta “dentro” e chi sta “fuori”, tra l’istituzione ed il territorio, tra l’individuo e la comunità. 

 

La ragione che mi sostiene nel fare tutto questo è che credo che il fare musica, sentirsi gli artefici di un processo sonoro musicale, stare dentro al suono che stiamo creando insieme con altri, sia un’esperienza bella, sana, sociale e comunitaria e quindi vitale.

 

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